mercoledì 13 luglio 2011
Esami del sangue
Gli esami del sangue sono una prassi fondamentale per tenere sotto controllo la salute del nostro organismo.
Se fatti periodicamente, possono prevenire problemi di vario genere e aiutarci a trovare una cura il più in fretta possibile.
Le analisi del sangue vengono effettuate tramite il prelievo di sangue dalle vene dell’avambraccio; è consigliato effettuare gli esami la mattina presto, a digiuno e ben riposati. Attraverso le analisi del sangue, il medico di famiglia o chi per lui potrà avere un quadro clinico completo del nostro stato di salute, anche se gli esami del sangue sono solo una parte dell’insieme delle analisi necessarie al nostro organismo.
I parametri di valutazione per gli esami del sangue sono sesso, razza, età e stato di salute del paziente. L’esame del sangue più utilizzato e richiesto è l’emocromo, che conta il numero di globuli rossi, dei globuli bianchi e delle piastrine presenti all’interno del nostro organismo, stabilendo se eventuali variazioni di quantità siano o meno preoccupanti.
Gli altri elementi basilari che vengono valutati con gli esami del sangue sono:
Linfociti
Monociti
Neutrofili
Emoglobina
Eosinofili
Basofili
Ematocrito
Trigliceridi
Colesterolo
Acido urico
Studiando le quantità di questi elementi presenti nel nostro sangue, i medici specializzati possono analizzare lo stato generale di salute di un paziente. Se uno o più elementi presentano numeri preoccupanti, sarà lo stesso medico ad ordinare esami specifici ed approfonditi, in moda da tutelare al massimo la salute del paziente.
Solitamente, non è semplice “tradurre” cosa dice un referto medico, nemmeno le analisi del sangue. È per questo che è consigliabile far vedere i risultati delle analisi del sangue ad uno specialista, che sappia consigliarci ed indicarci come tutelare la nostra salute.
Il medico di famiglia o di fiducia è l’ideale a cui chiedere, ma si possono presentare i referti anche ad infermieri che operano nel pronto soccorso di riferimento.
Emorroidi
Le emorroidi sono dei cuscinetti di tessuto vascolare molto importanti per la continenza fecale, sono composte da tessuto vascolare contenente un numero elevato di vasi sanguigni.
La zona rettale è una struttura complessa molto innervata sia da fibre che da sangue; i 3 cuscinetti emorroidali sono costituiti da una trama di vasi sanguigni che possono riempirsi o svuotarsi rapidamente di sangue aumentando o diminuendo di conseguenza, il loro volume.
Solitamente il disturbo dovuto alle emorroidi consiste in un prolasso esterno delle emorroidi interne causato dalla discesa della mucosa del retto che fa cadere verso il basso i cuscinetti che talvolta possono essere molto fastidiosi.
Le emorroidi sono suddivise in 2 gruppi:
-interne: si trovano nelle colonne anali in numero di 3
-esterne: collocate esternamente all’ano
A causa del prolasso le emorroidi scivolano verso il basso e non trovando più una loro collocazione anatomica possono divenire dolorose; questo motivo unitamente ad altre modifiche strutturali rappresentano un ostacolo al deflusso venoso.
Fino a qualche anno fa le emorroidi venivano considerate vere e proprie patologie oggi invece, si ritiene che esse siano l’effetto di tali patologie e per questo si interviene sempre meno chirurgicamente.
La malattia è di tipo multifattoriale, certamente si può considerare influente una storia familiare ma un ruolo fondamentale lo giocano molti altri fattori tra cui:
-un regime alimentare scorretto che può provocare stitichezza e conseguente crisi emorroidale
-diarrea cronica: causata da lavori sedentari che costringono l’aumento di pressione nella zona anale
-utilizzo di farmaci:un uso di farmaci a base di ormoni o di anticoncezionali può favorirne l’insorgere
-gravidanza e ciclo mestruale
I sintomi più frequenti sono:
-sanguinamento
-prolasso
-dolore
-prurito
-perdite mucose
-fastidio nella zona anale
Per una corretta diagnosi lo specialista effettuerà un’indagine anoscopica inserirendo per via anale una piccola sonda grazie alla quale valuterà il grado clinico della patologia.
La zona rettale è una struttura complessa molto innervata sia da fibre che da sangue; i 3 cuscinetti emorroidali sono costituiti da una trama di vasi sanguigni che possono riempirsi o svuotarsi rapidamente di sangue aumentando o diminuendo di conseguenza, il loro volume.
Solitamente il disturbo dovuto alle emorroidi consiste in un prolasso esterno delle emorroidi interne causato dalla discesa della mucosa del retto che fa cadere verso il basso i cuscinetti che talvolta possono essere molto fastidiosi.
Le emorroidi sono suddivise in 2 gruppi:
-interne: si trovano nelle colonne anali in numero di 3
-esterne: collocate esternamente all’ano
A causa del prolasso le emorroidi scivolano verso il basso e non trovando più una loro collocazione anatomica possono divenire dolorose; questo motivo unitamente ad altre modifiche strutturali rappresentano un ostacolo al deflusso venoso.
Fino a qualche anno fa le emorroidi venivano considerate vere e proprie patologie oggi invece, si ritiene che esse siano l’effetto di tali patologie e per questo si interviene sempre meno chirurgicamente.
La malattia è di tipo multifattoriale, certamente si può considerare influente una storia familiare ma un ruolo fondamentale lo giocano molti altri fattori tra cui:
-un regime alimentare scorretto che può provocare stitichezza e conseguente crisi emorroidale
-diarrea cronica: causata da lavori sedentari che costringono l’aumento di pressione nella zona anale
-utilizzo di farmaci:un uso di farmaci a base di ormoni o di anticoncezionali può favorirne l’insorgere
-gravidanza e ciclo mestruale
I sintomi più frequenti sono:
-sanguinamento
-prolasso
-dolore
-prurito
-perdite mucose
-fastidio nella zona anale
Per una corretta diagnosi lo specialista effettuerà un’indagine anoscopica inserirendo per via anale una piccola sonda grazie alla quale valuterà il grado clinico della patologia.
martedì 21 giugno 2011
Colon irritabile
La sindrome del colon irritabile è molto frequente e colpisce soprattutto la fascia d’età adulta, l’universo femminile in particolar modo. L’incidenza femminile è legata agli sbalzi ormonali che svolgono un ruolo fondamentale in questa categoria di disturbi.
Negli anni ottanta venne coniato il termine di “colite mucosa” poiché si osservò nelle pazienti colpite da questo fastidio un aumento dell’emissioni di muco nelle feci.
La patologia è caratterizzata dalla presenza di dolori addominali unitamente a diarrea durante il giorno e che scompariranno nelle ore della notte che coinvolgono la parte bassa dell’intestino. La persona si sente irritata e a disagio dalle sue limitazioni nell’ambito del quotidiano.
I dolori, in genere, si presentano dopo i pasti anche se non sono dovuti a dei cibi in particolare anche se sarà bene avere degli accorgimenti:
-eliminare i cibi che riscaldano e che aumentano la motilità intestinale (le uova, i salumi, i formaggi, la carne )
-evitare i legumi che producono una fermentazione
-evitare il consumo di latte vaccino e derivati che irritano la mucosa intestinale
-evitare il lievito di birra
-aumentare il consumo dei cereali
Coloro che ne soffrono presentano inoltre stipsi e dolori addominali
Le cause principali sono:
- di tipo psicosomatico
- di tipo alimentare
-errati stili di vita ( sedentarietà )
-farmacologiche ( abuso di farmaci lassativi )
- stress
I disturbi non sono necessariamente continuativi e si manifestano in periodi di tempo vari, sia lunghi che brevi ed andranno ad influenzare l’umore dell’interessato. Nel caso del colon irritabile viene compromessa la regolarità dei movimenti dei muscoli che si trovano al suo interno che diverranno più o meno veloci spingendo gli alimenti lungo l’intestino senza permettere che l’acqua presente nelle feci ne venga assorbita provocando gonfiori addominali. Al contrario le contrazioni possono rallentare bruscamente dando luogo a stipsi.
Le cure per la sindrome del colon irritabile consistono in una dieta bilanciata con maggiore attenzione all’attività fisica. I farmaci, in ogni modo, si concentrano unicamente sui sintomi visto che le cause sono legate a svariati fattori.
Artrosi
L’Artrosi è una malattia caratterizzata da artropatia cronica a carattere evolutivo consistente inizialmente in alterazioni regressive della cartilagine articolare e secondariamente delle altre strutture che compongono l’articolazione: tessuto osseo, sinovia e capsula articolare.
I segmenti corporei più colpiti dall’artrosi sono l’anca (in questo caso prende il nome di coxartrosi), ginocchio (gonartrosi), colonna vertebrale nella zona cervicale o lombare, mano, spalla, gomito e caviglia.
Le cause
Le cause dell’artrosi si dividono in fattori generali e fattori locali.
I fattori generali sono età avanzata, ereditarietà e famigliarità, estrogeni e assetto ormonale, obesità, alterazioni metaboliche e condizioni ambientali particolari.
I fattori locali invece riguardano la meccanica articolare (quindi come si muove una determinata articolazione), alterazioni infiammatorie post-traumatiche e necrotiche.
In base a queste cause, l’artrosi si può suddividere in artrosi primaria, riferibile ai fattori generali, e artrosi secondaria, riferibile ai fattori locali.
La diagnosi
Ma come ci si accorge di essere affetti dall’artrosi?
Purtroppo la diagnosi viene fatta tardivamente rispetto all’inizio della malattia. I sintomi inizialmente infatti sono solo dolore locale e limitazione funzionale.
Tramite particolari indagini diagnostiche si può quindi scoprire se si ha questa malattia. Alla radiografia verranno evidenziati: restringimento della rima articolare per il consumo della cartilagine, osteofitosi (malattia caratterizzata da neoformazioni ossee a forma di artiglio), osteosclerosi (situazione in cui l’osso si ispessisce diventando più duro ma al contempo più fragile) ed infine cavità geodiche (piccoli buchi nell’osso o nell’articolazione).
Le cure
Il trattamento dell’artrosi è caratterizzato dalla terapia medica, terapia fisica ed eventualmente terapia chirurgica.
Solitamente per quanto riguarda la terapia medica vengono somministrati farmaci antalgici derivati della Morfina, farmaci decontratturanti e antiflogistici, come ad esempio Paracetamolo e Aspirina.
La terapia fisica riguarda ovviamente il supporto fisioterapico, e quindi calore, massaggi e ginnastica funzionale.
L’intervento chirurgico non viene sempre eseguito, viene infatti valutata l’età del paziente, la gravità della malattia e la localizzazione.
I segmenti corporei più colpiti dall’artrosi sono l’anca (in questo caso prende il nome di coxartrosi), ginocchio (gonartrosi), colonna vertebrale nella zona cervicale o lombare, mano, spalla, gomito e caviglia.
Le cause
Le cause dell’artrosi si dividono in fattori generali e fattori locali.
I fattori generali sono età avanzata, ereditarietà e famigliarità, estrogeni e assetto ormonale, obesità, alterazioni metaboliche e condizioni ambientali particolari.
I fattori locali invece riguardano la meccanica articolare (quindi come si muove una determinata articolazione), alterazioni infiammatorie post-traumatiche e necrotiche.
In base a queste cause, l’artrosi si può suddividere in artrosi primaria, riferibile ai fattori generali, e artrosi secondaria, riferibile ai fattori locali.
La diagnosi
Ma come ci si accorge di essere affetti dall’artrosi?
Purtroppo la diagnosi viene fatta tardivamente rispetto all’inizio della malattia. I sintomi inizialmente infatti sono solo dolore locale e limitazione funzionale.
Tramite particolari indagini diagnostiche si può quindi scoprire se si ha questa malattia. Alla radiografia verranno evidenziati: restringimento della rima articolare per il consumo della cartilagine, osteofitosi (malattia caratterizzata da neoformazioni ossee a forma di artiglio), osteosclerosi (situazione in cui l’osso si ispessisce diventando più duro ma al contempo più fragile) ed infine cavità geodiche (piccoli buchi nell’osso o nell’articolazione).
Le cure
Il trattamento dell’artrosi è caratterizzato dalla terapia medica, terapia fisica ed eventualmente terapia chirurgica.
Solitamente per quanto riguarda la terapia medica vengono somministrati farmaci antalgici derivati della Morfina, farmaci decontratturanti e antiflogistici, come ad esempio Paracetamolo e Aspirina.
La terapia fisica riguarda ovviamente il supporto fisioterapico, e quindi calore, massaggi e ginnastica funzionale.
L’intervento chirurgico non viene sempre eseguito, viene infatti valutata l’età del paziente, la gravità della malattia e la localizzazione.
martedì 14 giugno 2011
Proteina C-reattiva
La Proteina C-reattiva (PCR), è una proteina sintetizzata dal fegato e rilasciata al sangue in risposta a certi stimoli d'origine infiammatorie.
Funzionalmente la PCR fa parte del gruppo delle opsonine, o proteine di “Fase acuta”, che hanno la missione di legare a certi recettori presenti nella superficie della membrana di cellule morte o batteri, permettendo così l'attivazione di un complesso proteico chiamato “Complemento”, e stimolando la fagocitosi mediata dai macrofagi. La PCR dunque è parte dal sistema immunitario di tipo innato, assieme a tante altre proteine e cellule immunitarie, reagendo come fossero “molecole sentinelle”.
I valori normali di questa proteina sono generalmente inferiori a 10 mg/L, di solito 5-6mg/L, e con il passare degli anni cominciano ad alzarsi gradualmente. Di fronte a certi stati infiammatori, questi livelli possono aumentare in maniera notevole nel giro di poco tempo, ancora prima dell'avvertimento dei tipici sintomi infiammatori. Fisiologicamente, i valori possono essere lievemente più alti della norma in donne nell'ultimo periodo di gravidanza.
Sebbene l'incremento dei valori di proteina C reattiva non siano specifici di nessuna malattia, è utile la sua valutazione di fronte a casi di malattie infiammatorie di origine infettiva, o quelle che hanno un forte componente autoimmunitario nella sua patogenesi come l'artrite reumatoide, il morbo di Chron o il lupus eritematoso. Inoltre, spesso viene utilizzata per monitorare il progresso della malattia, l'insorgenza di patologie infettive o l'efficacia della terapia antiinfiammatoria.
Utilizzando il test PCR ultra sensibile (che è capace di misurare livelli della proteina solo leggermente aumentati), si può stimare in persone sane il rischio di subire patologie cardiovascolari, giacché certi danni alle pareti dei vasi ematici possono essere prodotti da cellule e altri elementi infiammatori. Così, i valori di PCR permettono di stimare il rischio di insorgenza di patologie coronariche e infarti, indipendentemente dai livelli di colesterolo o trigliceridi nel sangue.
Funzionalmente la PCR fa parte del gruppo delle opsonine, o proteine di “Fase acuta”, che hanno la missione di legare a certi recettori presenti nella superficie della membrana di cellule morte o batteri, permettendo così l'attivazione di un complesso proteico chiamato “Complemento”, e stimolando la fagocitosi mediata dai macrofagi. La PCR dunque è parte dal sistema immunitario di tipo innato, assieme a tante altre proteine e cellule immunitarie, reagendo come fossero “molecole sentinelle”.
I valori normali di questa proteina sono generalmente inferiori a 10 mg/L, di solito 5-6mg/L, e con il passare degli anni cominciano ad alzarsi gradualmente. Di fronte a certi stati infiammatori, questi livelli possono aumentare in maniera notevole nel giro di poco tempo, ancora prima dell'avvertimento dei tipici sintomi infiammatori. Fisiologicamente, i valori possono essere lievemente più alti della norma in donne nell'ultimo periodo di gravidanza.
Sebbene l'incremento dei valori di proteina C reattiva non siano specifici di nessuna malattia, è utile la sua valutazione di fronte a casi di malattie infiammatorie di origine infettiva, o quelle che hanno un forte componente autoimmunitario nella sua patogenesi come l'artrite reumatoide, il morbo di Chron o il lupus eritematoso. Inoltre, spesso viene utilizzata per monitorare il progresso della malattia, l'insorgenza di patologie infettive o l'efficacia della terapia antiinfiammatoria.
Utilizzando il test PCR ultra sensibile (che è capace di misurare livelli della proteina solo leggermente aumentati), si può stimare in persone sane il rischio di subire patologie cardiovascolari, giacché certi danni alle pareti dei vasi ematici possono essere prodotti da cellule e altri elementi infiammatori. Così, i valori di PCR permettono di stimare il rischio di insorgenza di patologie coronariche e infarti, indipendentemente dai livelli di colesterolo o trigliceridi nel sangue.
Herpes labiale
L'herpes labiale è un'infezione causata da un virus semplice, di tipo 1, che di solito compare principalmente sulle labbra, ma può anche arrivare a estendersi sul naso e all'interno della bocca.
I sintomi iniziali vanno dal formicolio, a prurito o bruciore nella zona. I sintomi durano dai 7 ai 15 giorni dopo l'esposizione (di solito molto comune attraverso un bacio). Si notano generalmente delle vescichette raggruppate specialmente in una zona, e magari poi estese ad altre zone. Dopo una settimana cominciano ad asciugare e formano una crosta che finisce per cadere, normalmente cicatrizzando la ferita.
Una volta contratto l'herpes esso può non ripresentarsi per anni, poi può improvvisamente risvegliarsi in momenti di forte stress, difese immunitarie basse (dopo una malattia febbrile), o anche esposizione a troppo sole, o a troppo freddo.
E' dimostrato che i cibi ricchi di arginina (mandorle, noci, anacardi, arachidi, cocco, nocciole, cioccolato...) promuovono la crescita o il riapparire del virus in alcune persone.
Invece gli alimenti ricchi di lisina aiutano le cellule a resistere meglio all'attacco del virus. Alimenti ricchi di lisina sono alghe, soia, patate, uova, pesce e latticini. La lisina è venduta anche in farmacie ed erboristerie.
Per lenire il disagio e il bruciore da herpes labiale il rimedio più in uso è l'applicazione di balsami per labbra come il burro cacao o creme al propoli ottenibili in normali farmacie.
Altri si applicano gocce d'olio dell'albero del tè (specialmente foglie di guayaba), essenza naturali di lavanda, o la polpa dell'Aloe Vera sulle labbra più volte al giorno.
Alcuni dicono che notano grandi miglioramenti applicando un impacco imbevuto di latte.
In oligoterapia si utilizza il Rame-Oro-Argento quando una persona tende a ricadere nell'herpes labiale più volte. Ad ogni modo si consiglia di consultare il proprio medico se l'infezione persiste.
I sintomi iniziali vanno dal formicolio, a prurito o bruciore nella zona. I sintomi durano dai 7 ai 15 giorni dopo l'esposizione (di solito molto comune attraverso un bacio). Si notano generalmente delle vescichette raggruppate specialmente in una zona, e magari poi estese ad altre zone. Dopo una settimana cominciano ad asciugare e formano una crosta che finisce per cadere, normalmente cicatrizzando la ferita.
Una volta contratto l'herpes esso può non ripresentarsi per anni, poi può improvvisamente risvegliarsi in momenti di forte stress, difese immunitarie basse (dopo una malattia febbrile), o anche esposizione a troppo sole, o a troppo freddo.
E' dimostrato che i cibi ricchi di arginina (mandorle, noci, anacardi, arachidi, cocco, nocciole, cioccolato...) promuovono la crescita o il riapparire del virus in alcune persone.
Invece gli alimenti ricchi di lisina aiutano le cellule a resistere meglio all'attacco del virus. Alimenti ricchi di lisina sono alghe, soia, patate, uova, pesce e latticini. La lisina è venduta anche in farmacie ed erboristerie.
Per lenire il disagio e il bruciore da herpes labiale il rimedio più in uso è l'applicazione di balsami per labbra come il burro cacao o creme al propoli ottenibili in normali farmacie.
Altri si applicano gocce d'olio dell'albero del tè (specialmente foglie di guayaba), essenza naturali di lavanda, o la polpa dell'Aloe Vera sulle labbra più volte al giorno.
Alcuni dicono che notano grandi miglioramenti applicando un impacco imbevuto di latte.
In oligoterapia si utilizza il Rame-Oro-Argento quando una persona tende a ricadere nell'herpes labiale più volte. Ad ogni modo si consiglia di consultare il proprio medico se l'infezione persiste.
mercoledì 8 giugno 2011
Anoressia
"Astensione prolungata e volontaria dal cibo", questa potrebbe essere la definizione tecnica del disturbo dell’alimentazione noto come anoressia. Ma essendo disturbo psichico, occorre andare oltre l’analisi esterna e scientifica di questo sintomo esterno che è il rifiuto del cibo.
Un’ altra definizione efficace e che molti esperti psicologi usano è “malattia dell’amore”. La persona anoressica fa del male al suo corpo per colmare delle lacune affettive che creano senso di inadeguatezza e la spingono a cercare la perfezione, magari proprio per attrare quell’amore che pensa di non avere o di non meritarsi.
Definire univocamente l’anoressia è complicato, poiché La complessità di questo disturbo è tale da poter essere analizzato da molteplici punti di vista . ha infatti implicazioni oltre che nutrizionali, psicologiche, psichiatriche, gastroenterologiche. Questa malattia che prima di ogni altra cosa è un disagio esistenziale profondo Investe la percezione di se, il rapporto con il proprio corpo e la relazione con il prossimo. È considerata una malattia della modernità perché secondo gli psicologi è alimentata dalla stereotipizzazione della bellezza femminile in un ideale di magrezza irraggiungibile tipico delle starlettes della televisione.
Il ministero della sanità ha lanciato numerose campagne per la prevenzione e la cura di anoressia e bulimia riassunte nella frase “Se ami qualcuno dagli peso”. Ed è stato scelto un concetto chiave, perché l’anoressico non riconoscerà mai, tranne rari casi, di avere questo problema perché ricorrere ad una struttura significherebbe un ostacolo nel suo obiettivo di essere magro e perché ammettere di essere malati è dura, per chi punta all’assoluta perfezione.
Quindi se sospetti che un tuo amico o parente ne sia colpito non esitare a chiedere maggiori informazioni nei centri specializzati (l’Aba è il più capillare in Italia), oppure se tu in prima persona vuoi avere un sostegno perché avverti un disagio collegato alla dimensione cibo, corpo ed autostima.
L’anoressia, se prolungata, porta all’indebolimento delle ossa (osteopenia), danni permanenti e morte, ma dall’anoressia si può guarire, e non solo essendo trattenuti in vita dai ricoveri, si può guarire profondamente con forza di volontà e fiducia nelle strutture a cui ci si rivolge.
lunedì 6 giugno 2011
Dieta ipocalorica
La dieta ipocalorica consiste in una dieta in cui vi è un ridotto apporto di calorie rispetto ad una alimentazione normale.
Utile per chi vuole dimagrire se associata ad attività fisica e, ovviamente, alimentazione sana.
È una dieta da seguire per un periodo limitato di tempo e sotto controllo medico.
L’apporto calorico giornaliero è normalmente 1600 calorie per le donne sedentarie, 2200 calorie per gli uomini sedentari e le donne in gravidanza/allattamento, e 2800 calorie per adolescenti, uomini e donne sportivi.
Con la dieta ipocalorica la quantità di calorie giornaliera scende a 1000 calorie.
Si ricorda che un taglio drastico di calorie può provocare alcuni problemi di salute, ad esempio malnutrizione, calcoli biliari o problemi cardiaci. Per tale motivo dovete farla prescrivere da un dietologo, perché non è detto che sia una dieta adatta a voi.
Ecco un esempio di dieta ipocalorica:
Lunedì
Pranzo: 120 g di carpaccio di carne con la rucola condito con un cucchiaio di olio; 200 g di melanzane alla piastra; 30 g di pane.
Cena : 60 g di pasta con pomodoro e basilico; 200 g di fagiolini conditi con un cucchiaino di olio; 30 g di pane integrale.
Martedì
Pranzo : 50 g di riso integrale condito con 100 g di funghi; 150 g di insalata mista con un cucchiaino di olio; 30 g di pane.
Cena : 150 g di pesce spada ai ferri; 200 g di verdure alla griglia condite con aglio, prezzemolo e un cucchiaino di olio; 30 g di pane.
Mercoledì
Pranzo : un’ insalatona preparata con un uovo sodo, 100 g di patate lessate, lattuga a piacere, un pomodoro fresco e condita con due cucchiaini di olio; 30 g di pane integrale.
Cena : 150 g di petto di pollo alla piastra; 200 g di spinaci lessati con una spolverata di parmigiano; 30 g di pane integrale.
Giovedì
Pranzo : 80 g di prosciutto crudo sgrassato; 200 g di cavolo crudo condito con due cucchiaini di olio; 30 g di pane integrale.
Cena : 150 g di insalata di fagioli condita con due cucchiaini di olio; 150 g di pesce al vapore; 30 g di pane integrale.
Venerdì
Pranzo : 50 g di spaghetti con 100 g di cozze; 150 g di carote tagliate alla julienne e condite con un cucchiaino di olio; 30 g di pane integrale.
Cena : 200 g di insalata di polpo condita con un cucchiaino di olio; 200 g di patate lessate condite con un cucchiaino di olio.
Sabato
Pranzo : 70 g di bresaola con scagliette di parmigiano e rucola; 150 g di verdure grigliate; 30 g di pane integrale.
Cena : 50 g di riso condito con zucchine e un cucchiaino d’ olio; 100 g di formaggio magro in fiocchi; 30 g di pane integrale. Domenica: libera.
Domenica: libera
mercoledì 18 maggio 2011
Sciatica
La sciatica è un disturbo nervoso che causa dolore nella parte bassa della schiena e delle gambe. Il suo nome deriva dal nervo sciatico, il più lungo in tutto il corpo. La sua lunghezza esteso fa si che il nervo grande sciatico sia quello più particolarmente vulnerabili alla pressione o alle lesioni, provocando dolore.
Sintomi
La sciatica di solito parte con un improvviso dolore che rende inabili ai lavori più semplici. Il dolore ha spesso una distribuzione uniforme lungo tutto il nervo sciatico. Di solito inizia nella regione lombare si estende per glutei, coscia, gamba, e più in basso fino al piede. I principali sintomi della sciatica sono: dolore nella parte inferiore della schiena che si diffonde alla gamba (può variare da un leggero fastidio ad una sensazione di forte bruciore), intorpidimento o formicolio al polpaccio, perdita di riflesso del nervo del ginocchio, debolezza muscolare nella gamba o nel gluteo, oppure del piede, fino a incontinenza o di disfunzione sessuale.
Le cause della sciatica possono essere svariate: qualsiasi pressione, lesione, spasmo muscolare, tensioni alla schiena e infiammazione che colpisce il nervo sciatico, il quale può trasformarsi poi in sciatica. Nella maggior parte dei casi comunque la fonte del problema è un'ernia del disco intervertebrale.
Cure
Nei casi di eventuali mal di schiena gravi e persistenti è opportuno recarsi dal medico per evitare il pericolo di un invalidità permanente. Il medico a sua volta valuterà se mandarci da un neurologo o ortopedico per diagnosi e trattamenti.
Per eseguire una corretta diagnosi, il medico può ordinare una vasta gamma di test come: l'esame obiettivo della schiena e delle gambe, tomografia computerizzata (CT) per le immagini della sezione trasversale, esame a raggi X per individuare anomalie anatomiche, risonanza magnetica per l'eventuale diagnosi di un ernia discale
Nella maggior parte dei casi il trattamento che ci verrò prescritto sarà atto a trattare la causa sottostante o i sintomi. Si prescriveranno quindi degli anti-infiammatori, come ibuprofene per lenire i dolori. Nei casi più gravi sarà richiesto un intervento chirurgico per rimuovere un'ernia del disco o una eventuale pressione ossea artritica, così da alleviare il nervo.
Per la prevenzione della sciatica si raccomanda praticare un regolare esercizio fisico così da mantenere la forza muscolare nella schiena e nell'addome. Anche cercare di mantenere un peso ideale è utile perchè la schiena non faccia eccessivi sforzi. Prima di praticare nuovi sport o nuovi lavori è importante apprendere i movimenti corretti richiesti, così da non affaticare la schiena. Se si hanno episodi di problemi alla schiena è importante scegliere sport che non includono sforzi eccessivi della colonna. Sono ideali sport come camminare, nuotare, andare in bicicletta, mentre è meglio evitare tennis, bocce e sollevamento pesi.
mercoledì 11 maggio 2011
La gastrite
La gastrite colpisce migliaia di soggetti indistintamente dal sesso e dall’età. Può, infatti, colpire sia soggetti maschili e sia femminili, e allo stesso modo individui in età infantile, e sia adulti. Le cause che provocano la gastrite dipendono maggiormente da una cattiva alimentazione, che nel lungo periodo può generare una forte infezione della mucosa gastrica, nonché delle pareti interne dello stomaco. Questo disturbo se trascurato, può seriamente compromettere la salute dell’individuo, arrecando disturbi ancor più seri di quelli presenti, tramutandola in gastrite emorragica. La gastrite può presentarsi sotto due specifici aspetti con sintomatologie differenti e con gravità diverse. La gastrite si divide in cronica e acuta.
La gastrite acuta è la forma che si conosce maggiormente e che colpisce più frequentemente. Questa riporta i classici sintomi che sono: gonfiore addominale, e bruciore dello stomaco soprattutto nella condizione fisiologica in cui il soggetto è lontano dai pasti. Le terapie per curare la gastrite acuta prevedono l’assunzione di antiacidi finché l’infezione non sia completamente rientrata, e la mucosa gastrica ritorni nelle sue normali condizioni fisiche. Inoltre il soggetto colpito da gastrite acuta è invitato dal proprio medico curante, a ripetere durante la giornata piccoli spuntini ma continui, con lo specifico scopo di non lasciare mai lo stomaco completamente vuoto. Nei casi più gravi i sintomi possono aggravarsi portando: nausea, vomito, ed anche episodi emorragici, e febbre. Gli effetti della gastrite acuta generalmente in seguito alla giusta somministrazione dei farmaci indicati, scompaiono in pochi giorni, di solito dopo 48 ore.
La gastrite cronica invece non ha la caratteristica erosiva. I suoi sintomi sono legati ad una chiara difficoltà digestiva, e in casi particolari può comportare una inusuale e insolita stanchezza, dovuta alla comparsa di episodi tipici dell’anemia. Quest’ultima nasce soprattutto quando l’organismo subisce la mancanza della vitamina B12. Questo effetto è da imputare a un lavoro inefficiente della mucosa gastrica, che impedisce l’assorbimento della vitamina predetta. Di fatti l’aggravamento della gastrite cronica si suddivide in altri due sottocategorie: atrofica e ipertrofica. La prima interessa la riduzione dell’ispessimento della mucosa gastrica, la seconda come conseguenza avversa, presenta un forte ispessimento di quest’ultima.
La diagnosi della gastrite avviene in seguito ad una precisa anamnesi del medico curante, che in seguito ai vari casi, e alla ripetitività del disturbo, prescriverà esami specifici, come quello gastroscopio.
Le terapie prescritte oltre alla somministrazione di antiacidi, nel caso la malattia presenti effetti particolarmente gravosi per il paziente, deve essere integrata con la somministrazione di antibiotici e protettori della mucosa gastrica.
lunedì 2 maggio 2011
Linfoma
Il linfoma è una forma di neoplasia che colpisce il sistema linfatico e rappresenta la quinta causa di mortalità, tra quelle di origine tumorale, a livello mondiale. Si manifesta, in genere, con l’ispessimento non dolente di uno o più linfonodi di superficie, gli organi che filtrano la linfa che proviene dai tessuti e che si trovano, nei punti cruciali delle vie linfatiche (collo, addome, inguine, ascelle). L’ispessimento è accompagnato, in genere, da una temperatura corporea particolarmente elevata, sudorazione eccessiva, prurito in tutto il corpo, improvvisa perdita di peso non altrimenti spiegabile, associata a tosse e difficoltà respiratorie, nel caso il linfoma interessi il mediastino o i polmoni, diarrea e anoressia, ove abbia colpito la zona dello stomaco e dell’intestino, e ancora, a disturbi della personalità, confusione mentale e difficoltà nella parola, se il tumore è arrivato ad infiltrarsi nel sistema nervoso centrale.
Si suole distinguere due principali tipi di linfoma: il linfoma Non Hodgkin (LNH) , noto anche come linfogranuloma maligno, e quello di Hodgkin, caratterizzato rispetto al primo dalla presenza di una particolare cellula tumorale detta Reed-Sternberg, dal nome dello studioso che per primo la identificò, assente nel LNH.
La prima cosa da fare, alla comparsa dei sintomi, è rivolgersi ad un endocrinologo perché prescriva i necessari approfondimenti diagnostici. In genere la diagnosi verrà effettuata a seguito della biopsia linfonodale dopo aver provveduto all’asportazione chirurgica del linfonodo. Seguiranno, a seconda dei casi, analisi del sangue, radiografia al torace, ecografia, TAC ed eventualmente biopsia del midollo osseo e risonanza magnetica nucleare (RMN).
Una volta accertata, la malattia viene trattata con terapia radio e chemioterapica secondo il protocollo di cura nazionale. Nei casi più complessi in cui è necessario un trattamento particolarmente intensivo può essere necessario procedere all’inserimento nella vena del collo di un catetere detto CVC (catetere venoso centrale) attraverso cui alleviare le sofferenze del malato evitandogli il fastidio di continue iniziazioni di farmaci e prelievi di sangue.
martedì 19 aprile 2011
Osteoporosi
L'osteoporosi è una malattia degenerativa dello scheletro che comporta una riduzione della massa ossea e un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo. La densità delle ossa quindi diminuisce, causando dolori (generalmente alla schiena) e fratture (spesso al polso e al femore. Allo stato attuale, non è possibile fermare il processo di deterioramento, ma solo rallentarlo.
L'osteoporosi è causata da una progressiva carenza di proteine e minerali nelle ossa che provoca un indebolimento e un aumento della porosità delle ossa, e colpisce in prevalenza le donne dopo la menopausa, a causa di un consistente calo della produzione di ormoni sessuali.
Le forme di osteoporosi sono 3: l'osteoporosi primitiva o idiopatica, che è la forma più ricorrente e che colpisce in prevalenza donne o uomini molto anziani, essendo causata da una carenza di calcio; l'osteoporosi secondaria, che colpisce anche individui giovani in quanto conseguenza di altre patologie, ad esempio tiroidee, oppure di un'assunzione eccessiva di cortisone; osteoporosi complesse, ossia tutte le altre, legate a fattori come dialisi, trapianto di organi e gravidanza.
L'osteoporosi può avere come sintomo un dolore alla schiena, in quanto l'indebolimento della colonna vertebrale può provocare uno schiacciamento delle vertebre e quindi dolore, ma per il 70% circa delle persone essa resta asintomatica finché non si verifica una frattura, generalmente del femore.
Non esistendo una terapia curativa, il metodo migliore per evitare l'osteoporosi resta la prevenzione, praticando cioè frequentemente attività fisica e seguendo una dieta ricca di calcio e di vitamina D. Ad oggi i trattamenti farmacologici servono solo a rallentare il peggioramento della malattia, ma non a guarire i pazienti, sebbene negli ultimi anni si stia facendo strada la terapia TOS (Terapia ormonale sostitutiva) per fermare la perdita di calcio e quindi il deterioramento osseo.
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